Che strana creatura. Non ti riconosco, né riesco a comprendere da dove sei uscita.
Sei nata da me, ma da un seme distorto, inadatta al mare,
inadatta al bosco, così distante da chi ti ha creata.
Con poco istinto e poca forza, il fusto lungo, il piede corto,
come puoi, figlio, dimmi se ho torto,
trovar l'equilibrio su quelle zampette e reggerti in piedi sulla mia scorza?
Sui miei terreni duri ed incerti, vulcani, voragini, savane e deserti,
vendì, propaggini, poggi, versanti, crateri, tracolli, scoscesi pendenti,
radici intricanti, dirupi, frananti, fagosi, rilievi, masticci, montuosi,
fratture, crepacce, bacini, palustri, giocaglie, pendici, acclivi, declivi.
Per forza mi schivi.
Sei pallido, teso e intriso di nervo.
Cerchi un appigno nel punto più alto e tiri e ti strappi le membra in alterco
fra il tuo padrone e il tuo umile servo.
Ma il servo fedele sa diventare furbo, sa essere meschino, ostile, feroce.
E poi il tuo destino è così poco in luce.
Ascoltami, attento, non ti conviene.
Continui ad opporte la terra a tua madre e cerchi estenuante un Dio irraggiungibile.
Ma quanto a lungo potrai sputare su chi ti nutre, su chi ti sostiene?
Eh già, tu aspiri al settimo cielo, a quella voragine infertile e gassosa.
Ma da molto ti osservo correre solo.
La tua esistenza è come sospesa.
Sei nato sbagliato per questa natura.
Tu certo, in effetti, un poco difetti.
Non sai gestirti senza paura come le piante, come gli insetti.
La pelle sensibile, le unghie sottili, le braccia pendenti.
Non sai dove mettere, la testa lontana dai bassi profili.
Non senti l'odore delle tue viscere, né delle mie.
Non mi conosci, non ti nascondi nelle mie tane, non hai il fiuto del lupo, del cane.
Nelle mie acque non sei come i pesci.
Che odori senti? Quali sapori?
Cosa sopporti di respirare?
C'è qualche cosa che riesci a inalare, tranne quei neri e nocivi vapori?
Cosa ti stimola e si muove le carni?
Come davvero accendi i tuoi sensi?
Come puoi vivere nelle mie coltri senza profumi o morbidi incensi?
Che odori senti? Quali sapori?
Come gestisci la fame e i suoi morsi?
Cosa i tuoi denti sa masticare senza bucarsi, senza spezzarsi?
Mostrati, umano.
Mostrati, ascolta.
Mostra che ancora sei di carne e sangue.
Rotola, sfregati in questa terra cruda per levar via quell'armatura colta.
E senti che io, ancora una volta, ti accoglierò ingorda.
Ti accoglierò nuda.
Pronta a nutrirti e rigenerarti.
È solo lo scambio fra una madre e suo figlio.
Fra i tuoi odori e i miei umori.
E guarda il luogo dove tu dimori e quanto scarno si è fatto il sentiero.
Perché hai ripagato il mio lungo travaglio, rubandomi dal cuore un battito al giorno?
E lento, lento, quasi godendo, hai soffocato il mio respiro.
Non conosci la tua terra come la conosce il verme.
Apparentemente inutile, apparentemente inerme.
Non conosci quel tuo cielo a cui tanto tendi il braccio come lo conosce il falco e i compagni suoi di volo.
Sei maldestro nella roccia e nel mare a volte anneghi.
Sono molti gli spedienti a cui spesso poi ripieghi per poterti destreggiare in un mondo che ti è ostile.
Ecco, forse è tal dolore che ti ha reso bieco e vile.
Costringendo la tua foga a modificare il tempo.
A coprir tutti gli odori, i colori, i sapori.
A sentirti senza uguali, a considerarti il centro.
Ad imprigionarti i piedi e incastrarli nel cemento.
E ora corri con affanno, ma sei uomo, non sei vento.
Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org
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